L’ascolto attivo è uno dei pilastri su cui si costruiscono le buone relazioni e costituisce un requisito fondamentale di tante professioni.
Si tratta di un approccio relazionale che non ha a che fare solo con l’ascolto di ciò che viene detto verbalmente, bensì anche con i silenzi, le emozioni, lo sguardo, il tono della voce, tutto ciò che spesso le parole non possono esprimere.
L’ideogramma cinese dell’ascoltare, forse meglio di qualsiasi altra definizione, riesce a racchiudere in sé il pieno significato di questa parola.
Come si può vedere è un insieme di elementi: l’orecchio naturalmente, ma anche l’occhio per “vedere”; il “tu”, l’alterità che ci sta davanti, che non è lo specchio di me stesso, non è quello che io vorrei l’altro fosse, ma è proprio “un altro”; il cuore perché, come ci insegna “Il piccolo principe”, si vede (e si sente) bene solo col cuore. E tutto questo deve essere sempre presente (unitarietà) per “ascoltare” bene l’altro.
L’ascolto attivo, quindi, è una modalità relazionale, che determina la qualità del rapporto professionale e contribuisce a creare quell’ambiente sicuro in cui il cliente può narrare la sua storia, le sue richieste, le sue emozioni.
Alla base dell’ascolto attivo c’è l’interesse ed una curiosità sincera per il cliente e la sua storia e la sua situazione. Una curiosità rispettosa, in punta di piedi, non indagatrice e non fine a sé stessa. Una curiosità movimentata dal desiderio di capire meglio e di esplorare elementi utili che possano portare beneficio al cliente. Per essere esploratori del mondo del cliente è necessario saper selezionare e formulare domande chiare e concrete, domande che aprono la via della conversazione senza metterlo in difficoltà.
L’obiettivo delle domande non è la ricerca della verità o di quello che è giusto o sbagliato, bensì il desiderio di ampliare la conoscenza dei bisogni e dei desideri del cliente, di coinvolgerlo, di interessarlo e farlo parlare di sé.
Le domande aperte o narrative sono utili al cliente perché sono uno stimolo e un invito a parlare liberamente. Se il cliente si sente ascoltato e valorizzato nelle sue risposte, le domande lo possono aiutare a raggiungere una maggiore chiarezza e consapevolezza dei suoi bisogni, senza sentirsi sopraffatto dal professionista.
Le domande ben poste sono utili anche alla relazione tra il professionista e il cliente perché confermano il rispetto verso il cliente e la fiducia nella collaborazione reciproca.
Infine, le domande aiutano anche il professionista che così può raccogliere nuove informazioni che gli permettono di formulare ipotesi e proposte molto vicine alle esigenze del cliente.
La dinamica di questa tipologia di relazione è dialogica ed è rappresentata da momenti in cui il professionista guida tramite domande lo scambio comunicativo e da momenti in cui si ritira e permette al cliente di esprimersi nel ruolo di esperto della sua situazione specifica.
E’ bene ricordarsi che ogni incontro umano e, quindi anche l’incontro fra un cliente e un professionista (counselor, venditore o altro), è in primis un incontro fra due persone diverse, portatrici di visioni, opinioni ed esperienze di vita più o meno diverse, nessuna delle quali è per principio più vera o migliore dell’altra.
Questo significa che ogni volta che si tenta di convincere l’altro facendo valere esclusivamente le proprie ragioni, senza comprendere anche il suo punto di vista, si rischia di compromettere le relazioni e di portare verso l’insuccesso le collaborazioni professionali. Quando non ascoltiamo attivamente il nostro interlocutore, quando lo inondiamo con la nostra eloquenza, praticamente lo stiamo costringendo a scegliere fra “cedere (o fare finta di…) oppure arroccarsi ostinatamente sulle proprie posizioni. In ogni caso rischiamo di essere percepiti come avversari in uno scontro, invece che come alleati…”.
Adriana Selfo
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